Maledetti architetti. Dal Bauhaus a casa nostra (2007) by Tom Wolfe

Maledetti architetti. Dal Bauhaus a casa nostra (2007) by Tom Wolfe

autore:Tom Wolfe [Wolfe, Tom]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bompiani
pubblicato: 2015-09-09T22:00:00+00:00


5

GLI APOSTATI

Così la racconta lui stesso, la storia. Edward Durell Stone, uno fra i primi adepti dello Stile Internazionale in America, s’imbarcò a New York su un aereo diretto a Parigi, una sera del 1953, e si trovò seduto accanto a una donna a nome Maria Elena Torchio. Era figlia di un architetto milanese. Sua madre era di Barcellona. E lei era "esplosivamente latina", a detta di Stone. Il quale se n’innamorò durante la traversata atlantica e, sorvolando la Manica, le propose di sposarlo. Lei non cadde cosi presto. In primo luogo, lui vestiva come un professore universitario. E poi non è che andasse pazza per la sua architettura. Quei suoi edifici erano accurati ma un po’ freddi, molto contegnosi, ma, a dir la verità un tantino privi di vita.., non proprio esplosivamente latini.

Nel 1954 Stone sposa Maria Elena Torchio e il suo stile cambia completamente: si fa ricco, lussuoso, ornamentale nel progettare l’Ambasciata Americana a Nuova Delhi, con i suoi frangisole di cemento e marmo, le sue colonne d’acciaio rivestite in foglia d’oro, il suo equoreo giardino con isole e isolette curvilinee. Stone chiama questo palazzo "Tai Maria".

Quel che accadde a Stone dopo lo scoprimento del suo Taj (foglia d’oro?) ci rivela l’altra faccia del convento e delle sue passioni. Ci mostra il destino dell’apostata.

Stone era quello che aveva progettato la prima casa in Stile Internazionale della Costa Est degli Stati Uniti: la Mandel House a Mount Kisco, presso New York, nel 1933. (Sulla Costa Ovest, nel 1928, già ne aveva costruita una l’esule austriaco Richard Neutra: la Loveli House, a Los Angeles.) Nel 1934, Stone edificò la sua seconda casa in Stile Internazionale, sempre a Mount Kisco: la Kowalski House. Si mosse allora il municipio e cambiò le norme edilizie, per arrestare la sconcertante infestazione. Niente paura: una sollevazione filistea faceva il gioco del convento. Le credenziali di Stone erano impeccabili, tanto che il Museo d’Arte Moderna lo prescelse, assieme a Philip L. Goodwin, quale architetto per la sua sede, sulla Cinquantatreesima Strada Ovest, quasi all’angolo con la Quinta Avenue, dove prima sorgevano le case di John D. Rockefeller junior e John D. Proprio lui. Qui, dunque, l’esemplare edificio, sede del Museo, avrebbe messo lo Stile Internazionale sotto gli occhi di tutta New York. Stone era stato, insomma, chiamato a costruire proprio la nave ammiraglia della Utopia S.p.A.

Non appena s’inaugurò l’Ambasciata di Nuova Delhi, Stone venne cacciato via come un truffatore dal mondo dell’architettura alla moda, vale a dire dal mondo dei conventi europei arroccati nelle università americane. Oro qua lusso là e marmi e linee curve dappertutto. Borghesissimo. Il non plus ultra del borghesismo. Neppure lo stesso Mies, maestro della putrella bronzea a passo largo, si sarebbe potuto salvare con la chiacchiera. Stone, a salvarsi, non ci si provò neppure. E ciò era sommamente irritante. Lui diede addio allo Stile Internazionale, e buonanotte.

A chi poi criticò il suo Centro Kennedy a Washington (versione ingrandita del Taj Maria) Stone ribatté che esso rappresentava "venticinque secoli di cultura occidentale anziché venticinque anni di architettura moderna".



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